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al testo di Annamaria Pambianchi
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Sotto assedio - sospiro. Mi arrendo - mi dico. Poi, sotto l’ombrello del dubbio, riprendo la partita a scacchi la stessa che si gioca rigogliosa nei campi di nebbia dell’esistenza. A darmi scaccomatto, la potenza vertiginosa delle parole che si imparentano prima e in un lampo si inimicano e ruggendo fuggono.
Le parole tradiscono l’intenzione. E non solo la mia. Le antiche sono fuori moda. Sfarfallano le nuove come sciami di api impazzite in cerca di un miele di morte. Basterà a rimettere ordine un’acchiappanuvole o serve un’accademia filosofica?
Ci vuole un laboratorio che disegni parole snelle, figlie delle scomparse, vestite di grazia senza sfarzo da stagionare nelle fessure vuote, ma fresche e ventilate del cuore.
Che dica no alle parole definitive un no all’arbitrio di parole eterne. Che dica benvenute alle parole in transito comprese quelle del dolore le parole pioggia e rugiada arcobaleno e sole.
Che apra la porta anche alle parole burrasca e acqua alta. Che dica, venite, vi prego, fate di noi un silenzio non offeso. Fate dell’inutile nostro nulla la culla d’una metamorfosi il disegno che ignoriamo e nemmeno sappiamo di sognare.
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